EFFICIENZA IN CASA: IL SALTO DI CLASSE ENERGETICA TAGLIA I COSTI DEL 25%
Gli edifici italiani sono responsabili del 35,9% dell’inquinamento prodotto in Italia: lo dicono i dati del ministero dello Sviluppo economico. Il Paese è responsabile del 17,5% delle emissioni di CO2 imputabili agli usi energetici nel comparto abitativo in Europa, il contributo più alto tra quelli degli Stati membri (fonte Eurima). Il 70% degli edifici sono stati realizzati prima del 1976, anno della prima normativa sull’efficienza energetica (legge n. 373). Ma la buona notizia è che i consumi di una casa possono essere notevolmente abbattuti, anche attraverso interventi ”chirurgici” sull’esistente, non particolarmente complessi né costosi.
Oggi in Italia si stimano circa 32 milioni di unità abitative (12,1 milioni di edifici residenziali), che richiedono 32 miliardi di euro di spesa energetica complessiva annua. In base alle stime dell’Enea, escludendo le nuove costruzioni solo una piccola parte dello stock abitativo esistente, dal 5 al 7%, si trova nelle classi energetiche più efficienti: A, B e C (standard minimo per le nuove costruzioni) in genere consumano meno di 75 kWh/mq all’anno, dato variabile a seconda della zona climatica e delle caratteristiche dell’edificio. Il fabbisogno medio di un’unità residenziale, invece, in Italia si attesta intorno ai 180 kWh/mq di energia primaria, il valore più alto nell’Ue. Seguono la Spagna con circa 160 kWh e la Francia con 150 kWh (fonte: Mip Politecnico di Milano, su dati Eurima).
Premessa l’indiscutibile urgenza ambientale di intervenire per ridurre l’inquinamento prodotto da edifici, la riqualificazione energetica del patrimonio esistente si tradurrebbe innanzitutto in risparmi economici per i proprietari: una riduzione dei consumi che consenta il salto di classe energetica (ad esempio da una F a una E, oppure da un D a una C) può tagliare i costi del 25 per cento. Basta fare un po’ di esempi per confermare il dato, prendendo come riferimento il costo medio di un kWh termico tradizionale per la climatizzazione invernale e la produzione di acqua calda sanitaria, pari a 0,98 euro per metro quadrato.
Una casa monofamiliare in classe F, ad esempio, con fabbisogno di energia primaria annuo pari a 110 kWh/mq (cioè 10,78 euro per riscaldare un metro quadro), in genere è costruita con muri a mattoni forati, senza doppi vetri e senza coibentazione. In questo caso si può arrivare a certificare l’immobile in classe E (ipotizzando di raggiungere gli 80 kWh/mq all’anno, cioè 7,84 euro per metro quadro, con un risparmio del 27,3% sui consumi) sostituendo la vecchia caldaia istantanea con una nuova a condensazione e isolando le superfici. Oppure un appartamento di 100 metri quadri certificato in classe D, con indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale pari a 55 kWh/mq l’anno, dopo la ristrutturazione può raggiungere la classe C (ad esempio con fabbisogno di 40 kWh/mq/a), riducendo i costi da 540 a 392 euro l’anno.
L’Associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) ricorda che «solo un’attenta diagnosi energetica personalizzata e qualificata, da parte di un’impresa o un tecnico, può guidare verso soluzioni tecnologiche appropriate, capaci di conseguire risparmi tali da ripagare l’investimento in pochi anni». Ad esempio, secondo l’Enea una sostituzione degli infissi può tagliare i consumi del 10%, a cui si può aggiungere un risparmio del 24% applicando un sistema a ”cappotto” sulla facciata, oppure del 12% isolando la copertura: l’intervento rivaluta l’immobile più delle spese sostenute (i costi nelle schede sotto). E i risparmi possono anche superare il 50% se l’intervento globale (involucro e impianti) è capace di incidere anche sulla climatizzazione estiva.
La certificazione energetica degli edifici non è dunque un balzello. Per il mercato immobiliare costituisce un cambio di paradigma che, anzi, inizia a influenzare le quotazioni e potrebbe stimolare la domanda. Peccato che lo scorso 26 aprile la Commissione Europea abbia deciso «di deferire l’Italia alla Corte di giustizia per non essersi pienamente conformata alla direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell’edilizia». Sono ancora troppe le deroghe alla redazione degli attestati energetici (Ace), obbligatori per tutti gli edifici. Alla normativa, inoltre, manca un intero capitolo, quello sulle ispezioni dei sistemi di condizionamento.
Ecco tre possibili interventi
Selezionati nell’«Energy efficiency report» pubblicato a novembre 2011 dal team Energy & Strategy del Mip Politecnico di Milano, in base all’analisi della convenienza economica e della capacità di abbattere i consumi di energia termica (o ridurre l’approvvigionamento di combustibile).
1. GLI IMPIANTI
Oggi, dei 20 milioni di impianti per la produzione termica funzionanti in Italia, solo il 9% utilizza una caldaia a condensazione. Rispetto a un impianto convenzionale, queste soluzioni costano circa il 35-40% in più a causa dei maggiori costi dei materiali e della progettazione, ma consentono di risparmiare mediamente il 20% rispetto alle caldaie tradizionali. Prendendo, ad esempio, un condominio di 20 appartamenti con un consumo complessivo annuo di 240mila kWh termici, l’adozione di una caldaia a condensazione comporta un investimento addizionale di circa 25mila euro, che dà luogo a un risparmio annuo di circa 45mila kWh (pari a quasi 3.500 euro complessivi di risparmio annuo in bolletta). L’investimento si ripaga in circa 7 anni. Questo tipo di intervento, inoltre, beneficia oggi della detrazione Irpef del 55%, che rende estremamente conveniente l’operazione. Tra le tecnologie efficienti per la produzione di energia termica ci sono anche le pompe di calore, sistemi in grado di trasferire calore da una sorgente a un corpo con temperatura più alta. Le pompe aria-aria sono le più diffuse: costituiscono oltre il 60% delle 400mila pompe di calore installate oggi in Italia (il 2% dello stock di impianti), anche perché sono molto semplici da installare e non richiedono modifiche sostanziali agli impianti esistenti. Il loro costo può variare dai 5mila ai 15mila euro (per quelle terreno-aria) e consentono un risparmio medio annuo di oltre 4mila kWh termici.
2. L’INVOLUCRO
Le tecniche di isolamento non sono tutte uguali. Anzi, in base all’analisi delle prestazioni dell’esistente può essere preferibile l’una o l’altra posizione dell’isolante: ad esempio esterna alle pareti nel caso di riscaldamento centralizzato a funzionamento continuo (isolamento a cappotto, intonaco isolante o parete ventilata); oppure interna (coibentazione, tramite intonaco o pannelli isolanti) nel caso di riscaldamento autonomo. L’analisi della convenienza, prendendo come benchmark un edificio esistente in muratura tradizionale in laterizio con trasmittanza termica di 0,3 W/mqk, si rileva come gli interventi di isolamento su coperture o suolo in ambito residenziale sono maggiormente efficienti dal punto di vista economico rispetto a quelli su pareti verticali: al Nord si parla di un costo tra 0,6 e 0,9 euro al metro quadro per un kWh, meno rispetto al costo tradizionale di produzione del kWh termico (0,98 euro).
Ad esempio, una villetta monofamiliare del Nord Italia con un consumo termico di 12mila kWh all’anno, attraverso l’isolamento delle pareti e della copertura, ottiene rispettivamente un risparmio di circa 1.400 kWh e 2.900 kWh termici, a fronte di un investimento rispettivamente di circa 3mila e 4.800 euro. Questi investimenti si ripagano in più di 15 anni nel primo caso (circa dieci se viene utilizzata la detrazione Irpef del 55 per cento) e in poco meno di 15 anni nel secondo caso (che scendono a 8 anni, grazie al 55 per cento).
3. LE RINNOVABILI
Gli impianti per il solare termico possono servire per la sola produzione di acqua calda sanitaria (Acs) oppure combinati (anche per integrare il sistema di riscaldamento). Quelli combinati richiedono una superficie captante mediamente doppia, riescono a coprire tra il 10 e il 40% del fabbisogno per riscaldamento, e l’extra-costo per installarli è decisamente meno conveniente (+35% rispetto a quelli per la sola produzione di Acs). Pertanto oggi la convenienza economica del solare, rispetto ai tradizionali costi di approvvigionamento di energia termica, c’è soltanto in caso di installazione per la sola produzione di Acs nel residenziale con incentivazione della detrazione Irpef del 55% (si va dagli 0,8 euro per kWh al Nord ai 0,41 euro al Sud, sempre meno dei 0,9 euro per il combustibile tradizionale). In un’abitazione media singola del centro Italia, l’installazione di un sistema solare termico con una superficie captante di 5 metri quadri per la produzione di acqua calda sanitaria permette di generare annualmente una produzione di 2.400 kWh termici, con un investimento iniziale di 5.800 euro: senza alcuna agevolazione il tempo di pay-back è pari ad oltre 20 anni, che si riducono a 12 in presenza della detrazione del 55 per cento.
Conveniente anche l’installazione di una caldaia a biomassa (oltre 1,5 milioni oggi in Italia). Ad esempio una caldaia a cippato (15 kW di potenza) copre circa 12mila kWh annui di fabbisogno: l’investimento iniziale di 10mila euro si ripaga in 15 anni, 8 con la detrazione del 55 per cento.
Fonte: articolo di Michela Finizio da casa24.ilsole24ore.com del 23/05/2012