> In ambito immobiliare assume rilievo la tassazione dei canoni di locazione, perché sovente questi costituiscono una porzione significativa del reddito dei locatori e perché nell’accingersi ad acquistare un immobile per investimento ci si interroga su quale potrebbe essere il reddito conseguibile dalla successiva locazione. La normativa ordinaria prevede che i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo del locatore indipendentemente dalla percezione (art. 26, I° co. I° periodo, d.p.r. 917/1986, Tuir): la mera esistenza di un contratto impone al locatore di dichiarare il canone ivi indicato fino alla cessazione del contratto, anche se non l’ha percepito, in tutto o in parte. Questa regola, conforme ai canoni costituzionali (Corte Cost. 26.7.2000, n. 362), suggerisce ad esempio di formalizzare e registrare sempre, per evidenziarli al fisco, gli accordi intervenuti nel corso del rapporto che prevedono la riduzione, definitiva o temporanea, del canone, altrimenti le tasse si pagano sul canone contrattuale.



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I canoni derivanti dalle locazioni abitative.

La disciplina suddetta subisce una deroga nei contratti ad uso abitativo, perché l’art. 8 l. 431/1998 modificò l’art. 26 (già art. 23) del Tuir prevedendo che i soli redditi derivanti da contratti ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore (artt. 663 ss. codice di procedura civile). Verificandosi queste condizioni, il giudice convalida lo sfratto (cfr. Circ. Min. Fin. 7.7.1999, n. 150/E) e per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento giudiziale viene riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare. Dunque le tasse sui canoni non percepiti andavano (e vanno, per i contratti stipulati fino al 31.12.2019) sempre pagate, ma è poi riconosciuto al locatore un credito di imposta che sorge all’esito del procedimento di sfratto fondato su quei canoni.
Le recenti modifiche dell’art. 26 Tuir. Il d.l. 30.4.2019 n. 34 (conv. l. 28.6.2019 n. 58) ha nuovamente modificato l’art. 26 del Tuir per i contratti di locazione stipulati dal 1° gennaio 2020, nel senso che i redditi derivanti da locazioni abitative, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento. Pertanto, per non pagare le tasse su tali canoni il locatore non dovrà più attendere la convalida dello sfratto, ma potrà notificare al conduttore l’atto di citazione introduttivo del procedimento di sfratto per morosità oppure ottenere dal giudice un decreto ingiuntivo sui canoni non percepiti. Talvolta capita, infatti, che, pur subendo la morosità del conduttore, il locatore preferisca conservare il rapporto non procedendo allo sfratto e in tal caso, per non pagare le tasse sui canoni non percepiti, gli basterà ottenere appunto un decreto ingiuntivo sui canoni non pagati.

 

I canoni derivanti dalle locazioni ad uso diverso.

Le locazioni ad uso diverso seguono il regime ordinario (v. premessa): occorre versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso, senza poter beneficiare del credito di imposta, rilevando il momento formativo del reddito e non quello percettivo.
Il Ministero delle Finanze, invero, prima con la citata Circolare 150/E e poi con la 101/E/2000, ha affermato che per gli immobili locati per uso diverso, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto, ancorché non percepito: regola confermata dalla Corte di Cassazione, secondo la quale “il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall’art. 8 della l. 431 del 1998 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità del conduttore costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto” (così Cass. 9.1.2019 n. 348; Cass. 9.5.2019 n. 12332).

Le cautele da adottare per i contratti ad uso diverso.

La disciplina ordinaria applicabile alle locazioni ad uso diverso può essere alleggerita, rispetto alla posizione del locatore, in funzione del fatto che, quando si rivolge al giudice per lo sfratto, il locatore avrà una decisione che potrà accertare l’avvenuta risoluzione del rapporto di locazione anche ad una data antecedente quella dell’introduzione del giudizio. Il codice civile, infatti, prevede strumenti idonei a provocare la risoluzione del rapporto a prescindere dalla decisione del giudice, che poi si limiterà ad accertarla come già avvenuta. Si tratta delle regole sulla risoluzione del contratto per inadempimento, ove la più efficace sta nell’inserire nel contratto una clausola risolutiva espressa: al verificarsi della morosità il locatore, invocando la clausola, può provocare lo scioglimento del rapporto comunicando al conduttore di volersene avvalere (al riguardo, oltre alla citata decisione della Corte Cost., v. Cass. 27.8.2013 n. 19602).

Conclusioni.

Il quadro normativo delineato, sia nelle locazioni abitative sia in quelle ad uso diverso, dovrebbe indurre i locatori, e non soltanto per ragioni fiscali, a reagire tempestivamente agli inadempimenti dei conduttori, perché così facendo evitano un incremento delle morosità e perché attivando gli strumenti di risoluzione del contratto fissano il momento dello scioglimento del rapporto, che sarà poi accertato dal giudice.

Avvocato Francesco Mainetti

 

Avvocato Francesco Mainetti | Studio Legale Nicolais Roma | francescomainetti@studiolegalenicolais.it

 

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